Relazione di settembre-ottobre

20160927_175445 20160927_182156 20160927_183756 20161007_174625 20161007_174640 20161007_180545 img_20161007_185229 img_20161007_185233 20161021_174727 img_20161021_180259 img_20161021_180311 img_20161021_180417

Cari soci e amici, riprendiamo il nostro cammino con qualche novità. Restano ferme le attività tradizionali: le conferenze, i film e i caffè letterari che anticipano e commentano le tematiche di volta in volta prefissate. Le location sono pure confermate: l’Istituto Juvara per le prime due iniziative; il bar Modà per la rimanente attività. Per quanto riguarda il corso di tedesco, le iscrizioni sono aperte. Tuttavia, quì muta la sede. Siamo ora anche allo Juvara, che gentilmente ci mette a disposizione un’aula, in un pomeriggio a nostra scelta nei primi cinque giorni della settimana. Occorrono, però, studenti in numero adeguato: la nostra carissima docente e vicepresidente, Eleonore Huth, ha bisogno di una classe di almeno 10 elementi e dunque, Voi che leggete, datevi da fare! E ora veniamo al tema di questo primo bimestre. Dal titolo delle varie occasioni d’incontro, emerge una questione non ancora sopita e degna di essere risollevata anche oggi: al termine di una guerra così funesta e luttuosa – e oggi potrebbe essere la durissima realtà dopo la tremenda crisi economica mondiale del 2008 – si doveva ricostruire e riaprire il cantiere della pace e della rinascita economica e sociale. Ma a che prezzo? Si poteva tacere sugli anni di una guerra voluta da due popoli ubriacati da ideologie perniciose per la società civile e per le libertà dell’uomo? Si poteva tollerare l’orrore che tali ideologie aveva generato e consentire ancora di governare a quelle classi dirigenti violente e totalitarie? Così fu purtroppo per l’Italia e per la Germania. Adenauer e De Gaspari, De Gaulle e perfino Togliatti, lo vollero. E gli angloamericani lo pretesero per allargare il fronte antistaliniano. Fu la guerra fredda; la guerra di Corea; il muro di Berlino; il Vietnam e via discorrendo. Ma alcuni si opposero: non si poteva restare silenziosi; l’omertà e l’indifferenza, in nome della ricostruzione senza discussione sulle colpe politiche e morali di una classe dirigente cieca, avida, eticamente inerte di fronte al totalitarismo, alla guerra, alla Shoah, prevalsero, fin dal primo quindicennio del secondo dopoguerra. Alcuni intellettuali italiani e tedeschi, però, non ci stettero: e al caffè letterario del 27. settembre, abbiamo fatto il nome di liberali progressisti come Meinecke, Croce, Calamandrei, Mann; e di comunisti democratici, quali Vittorini, Brecht, Bassani. E lo iato fra politiche tolleranti e intellettuali critici proprio sul tema del rigetto del silenzio accomodante e colpevole è emerso senza reticenze, quasi un rifiuto di responsabilità politica di fronte al male morale, al peccato di omissione, quasi alla dimenticanza di ambedue le società civili, di fronte alla caduta verticale della democrazia e della libertà. E fu altrettanto lenta la presa di coscienza negli anni ’60: in Italia, nei primi anni di quel decennio, la denunziata lentezza dell’esecuzione dei principi costituzionali; in Germania, la nota disapplicazione delle norme giuridiche penali che rallentò le istruttorie al tribunale di Francoforte. Circostanze che indussero, finalmente, la politica a cambiare di passo. Il film di Giulio Ricciarelli, Il labirinto del silenzio, mostra la decisa presa di coscienza della magistratura e della polizia di fronte alla numerose denunzie di ex nazisti che ancora reggevano nel 1959-1962 molti gangli della pubblica amministrazione come se nulla fosse accaduto. Fra i protagonisti emergeva il procuratore capo di Francoforte, Fritz Bauer, che si mise a caccia di Eichmann e che si intestardì ad inquisirli, senza peraltro riuscire a farlo giudicare in Germania, mentre il mondo attonito ne vide il giudizio e la condanna a morte in Israele. Il 30. settembre abbiamo visto del problema una recentissima riduzione cinematografica e speriamo che fra poco tempo si possa approfondire la questione con un altra pièce proprio sul grande procuratore Bauer. Un altro grande profeta inascoltato che però aveva previsto gli effetti nefandi di un silenzio sulle tristi vicende di cui parliamo, era stato Karl Jaspers, un’enzima morale del pensiero tedesco del dopoguerra. Elena Alessiato, vecchia amica della nostra associazione, il 7. ottobre ha offerto un quadro esaustivo del suo intero pensiero, come potete vedere a margine di questo portale dove è pubblicata. Jaspers, forte di un percorso filosofico dedicato all’uomo e alla sua esistenza, formato da un sentimento critico non disgiunto da un grado non indifferente di ragione; non si distacca da un passato psicopatologico, di stampo olistico e umanistico influenzato da Jung e Freud. Ebbene, la lezione di Jaspers, per Elena, era una posizione profetica di fronte alla comunicazione sociale andata a perdersi proprio durante gli anni di Weimar. La mancanza di coesione sociale e le colpe morali e politiche del popolo tedesco imponevano di non tacere. Egregiamente, Elena ne ha ripreso le fila, malgrado non fossero state all’epoca politicamente corrette, sollevando un dubbio enorme sugli strani consensi che anche in Italia la politica centrista aveva favorito. A conclusione di questo percorso di notevole importanza storica e di monito attuale – dove per esempio, i temi dell’immigrazione e della crisi dei diritti individuali minacciati da ombre sulla democrazia costituzionale – abbiamo pensato a uno scrittore italiano che ci sembrava coerente ancora oggi al messaggio di Jaspers: Andrea Molesini, che, con il suo ultimo romanzo, La solitudine dell’assassino, poteva ben rendere esteticamente la rivolta dell’uomo autentico contro il conformismo e le sconfitte del quotidiano. L’uomo per Molesini non è un caso clinico, ma è un ammalato del vivere. E’ un composto di ragione e di sentimento. Interessante è stato lo scavo psicologico dato dall’Autore alla luce dell’esistenza dei carcerati, fra vittorie e sconfitte. Barbara Mica, con una attenta serie di domande, ha messo in luce come il processo di rimozione dei due protagonisti del romanzo ha rappresentato nel microcosmo il parallelo pericolo che afflisse l’Europa dopo la 2° Guerra Mondiale. E oggi? Lo stesso processo di rimozione culturale dei valori costituzionali del 1948 sembra aleggiare nel dibattito politico sulla maxiriforma del 2016 che stiamo vivendo. A chi rimprovera il fronte del no di essere conservatore e si proclama invece fra i fautori del sì perché progressista; vogliamo solo loro dire di approfondire la nuova riforma costituzionale, di giudicarla nel merito, leggerla articolo per articolo e verificarla nella sua coerenza logica di legge suprema rivolta alla difesa dei diritti civili e politici degli uomini di questa tribolata nazione. E lo stesso diciamo agli entusiasti lettori del libro di Molesini: leggetelo direttamente e date Voi il giudizio sulla sua morale. Veramente le morali che si ricavano sono innovative o sono piuttosto confuse? Sono veramente idonee, a comprendere la domanda di vuoto che ci aggredisce ogni giorno?

                                                                                                            Avv. Giuseppe Moscatt

   Invia l'articolo in formato PDF