Relazione di febbraio

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Carissimi soci ed amici, dopo l’interessantissimo apertura dall’anno sociale sul sociologo Ulrich Beck, padre della globalizzazione, non si poteva non continuare che con colui che per primo ne intravide la nascita e ne propose l’antidoto: Johann Wolfgang Goethe. Quale ne fu la genesi e come se ne poteva trovare rimedio, fu presto stigmatizzato dall’olimpico di Weimar, vale a dire, il ritorno al sano e originale cosmopolitismo, di Erasmo da Rotterdam e Spinoza, ma di chiara origine greco-latina, da Aristotele a Virgilio, fino Seneca e poi a S. Paolo. E di Goethe abbiamo a lungo discusso in questo mese, senza dimenticare di avvertire che anche a marzo ne riparleremo, col Doktor Faustus di Mann e poi a maggio con gli aspetti gastronomici del suo capolavoro, sapientemente guidati come sempre da Maria Grazia Seminara e da Volker Hoffmann. Ma andiamo con ordine: occorreva soprattutto rinfrescare la memoria sulla vita e le opere del grande francofortese. Lo scrivente ne ha dato un quadro il più possibile sintetico; ma ci si passi l’espressione, era come fare entrare un “elefante dentro una cinquecento”.. Le quattro fasi della sua lunga vita, a cavallo fra illuminismo e romanticismo (1749-1832) hanno caratterizzato l’intera evoluzione, se si vuole, lo sviluppo della società europea: lo Sturm und Drang; Il viaggio in Italia, l’Hochklassik a Weimar con Schiller; Il Faust e Il divano occidentale, tanto per citare i pasaggi più salienti della sua vita fino all’Elegia di Marienbad, lo struggente canto d’amore non corrisposto di un settuagenario per una diciassettenne. Ma la sua vera svolta di vita e di pensiero Goethe la ebbe ne l787, quasi a quaranta anni, quando fuggì dalla corte di Weimar, troppo angusta per il suo genio, per approdare in Italia, quasi “un lavaggio di panni sporchi”- per il nostro Manzoni lo fu l’Arno a Firenze per poter scrivere I promessi sposi – fra le rovine classiche dell’Italia greca e romana. E chi, meglio di Roberto Zapperi – storico dell’arte e scrittore di fatti clamorosi, come quello dell’Uomo incinto”, oppure il carteggio e le relazioni singolari fra Freud e Mussolini, fino allo studio innovativo sulla vera identità della Gioconda di Leonardo – avrebbe potuto descrivere quella conversione al classico, specialmente nelle due settimane di viaggio in Sicilia, dopo vari mesi trascorsi da Goethe a Roma di giorno fra i nobili, ma di sera nelle osterie fra popolani e donnine allegre? Dopo il lavoro certosino su Goethe in incognito a Roma (che lo ha reso noto in Germania per la scrupolosa acribia che ha adoperato nel rileggere i conti della spesa, ancora depositati nella case del grande saggio a Weimar); lo stesso metodo Zapperi ha utilizzato per il Viaggio in Sicilia. Non diciamo altro, se non invitare i lettori a leggere la relazione. E’ però il viaggio in Sicilia è ancora ben altro: ci pare che costituisca un aspetto del viaggio nell’anima del popolo siciliano, le cui caratteristiche universali e cosmopolite vennero subito riconosciute da molti intellettuali tedeschi fino ad oggi, primo fra tutti dal nostro von Platen e poi divenute la bibbia di Thomas Mann, dalla cui espressione mai più un’europa tedesca; ma sempre più una Germania europea! dobbiamo fare tesoro, come appunto ci sottolineò Ulrich Beck nel suo ultimo libro. Il viaggio nell’anima, dunque: e come abbiamo già ricordato a settembre, il cinema – ma già la letteratura nell’800, da Dickens a Stendhal, da Cecov a Svevo in pieno decadentismo – adottò questo tema, privilegiando un filone già da Goethe percorso, con la triade di romanzi sulla figura autobiografica di Wilhelm Meister. La ricerca, il noviziato e le peregrinazioni del predetto protagonista costituiscono il triangolo della Bildung goethiana. Del resto lo abbiamo voluto rivedere in forma cinematografica, appunto ne Il falso movimento di Wim Wenders, regista poliedrico, già ospite più volte a Siracusa della facoltà di architettura. Nel 1974, con la sceneggiatura di un altro grande scrittore di lingua tedesca – l’austriaco Peter Handke – con intelligentissima scelta tecnica, nasce proprio in questo film la ripresa in soggettiva della macchina da presa, volta a raffigurare il tema del viaggio attraverso i primi piani, visti attraverso gli occhi del protagonista. Sia di Theresa Farner, l’attrice a cui il protagonista Wilhelm lancia il primo sguardo, innamorandosi guardandola sul treno in partenza. Oppure, sia il volto del poeta Bernhard Landau che conosce Wilhelm e gli si unisce temporaneamente formando una compagnia di guitti, sul teatro di Tespi che vaga di città in città della Germania (come voleva Goethe nella prima edizione del Wilhelm Meister del 1777, all’epoca dello Sturm und Drang). Sappiamo che Wilhelm lascia tutto per andare alla ricerca del tutto; come un novello Abramo che sulla parola del Dio moderno – l’inquietudine dell’artista che non vuole vivere da borghese nella pace di un piccolo mondo antico che non gli interessa più – intraprende un viaggio, spesso ambiguo e falso, un movimento che alla fine non lo appagherà più di tanto. Forse Wenders ha letto Goethe con gli occhi di Mann, nel senso che il patto col diavolo non lo attrae affatto, ché anzi lo isolerà ancora di più, sprofondando Wilhelm nel più profondo solipsismo, come quando Mann, tornato dall’esilio americano, non ritrovò più la sua Germania del 1933, nel pieno della catastrofe del 1945, che lo portò alle tremende conclusioni del Doktor Faustus, Lasciamo, allora, la parola a Graziella Seminara, nostra carissima amica da alcuni anni, che ci intratterrà al riguardo il 20-3-2015. Ma prima di salutarci un augurio di buon lavoro va a Francesco Porzio, che improvvisamente ci ha abbonati per improrogabili e impegnative attività connesse a iniziativa informatiche di altissimo livello. Aspettiamo il Suo ritorno, come aspettavano Goethe gli amici della corte di Weimar, Herder e Wieland, piuttosto preoccupati della sua scappatella in Italia.

                                                       Avv. Giuseppe Moscatt

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