1914: guerra e letteratura di Marino Freschi

Già si moltiplicano in tutt'Europa mostre, conferenze, pubblicazioni per l'anniversario dello scoppio della Grande Guerra. E mai avremmo pensato di quanto il tema fosse ancora attuale. Le sommosse in Bosnia, la tragica crisi in Ucraina riaprono quella ferita mai rimarginata, che ha lacerato l'Europa quella tragica domenica del giugno del 1914 quando a Sarajevo venne assassinato il pretendente al trono d'Austria-Ungheria, l'arciduca Franz Ferdinand insieme a sua moglie. Con quell'attentato finiva un'epoca, la belle époque, e terminava in un incubo il sogno di un'Europa sempre in pace. Fin de siècle, Fine secolo, l'espressione coniata alla fine dell'Ottocento, era diventata sinonimo di un'incombente catastrofe che non poteva non investire una società ai limiti della sua espansione, pervasa da un'angoscia di mutamento. Questo desiderio di cambiamento, questo diffuso anelito a qualcosa di esaltante, di eccitante era uno strano fenomeno, che si riscontrava in tutta l'Europa. Infatti si sentiva viepiù distintamente e prossimo il brontolio del vulcano che stava per esplodere. Leggiamo i diari e le poesie e i romanzi dei giovani di questo periodo e sentiamo una nota comune: questa società, quest'epoca è noiosa e corrotta; se almeno ci fosse una guerra, se almeno ci fosse una rivoluzione, per porre fine a questa stagnante putrefazione. La pace corrompe, la stabilità degrada, il progresso materiale produce una degenerazione dell'anima. E annienta le facoltà creatrici dello spirito. I nostri futuristi esaltano la guerra, quale igiene del mondo. E arrivò il 28 giugno con gli spari di Sarajevo. E arrivò la guerra, con l'entusiasmo dilagante dell'Agosto. I cortei dei giovani volontari percorrevano tra fanfare e fiori le città dei paesi in conflitto. Sembrava di correre verso una festa. Non fu così. Fu invece l'inizio del più tremendo dei conflitti combattuti fin ad allora, l'inizio della carneficina, quella accennata con incisiva sobrietà da Giuseppe Ungaretti in Soldati: Si sta / come d'autunno / sugli alberi / le foglie. Ma l'ebbrezza nazionalistica durò poco; il disincanto si propagò rapidamente. Erich Maria Remarque col suo capolavoro Nulla di nuovo sul fronte occidentale del 1928-1929 consegnò alla letteratura una vivida testimonianza di questo processo tremendo di disillusione realistica, entrando nel canone letterario del Novecento, divenendo un autentico caso letterario mondiale. E il tema della guerra, del tracollo dell'Europa, con la fine degli imperi, ha ispirato innumerevoli opere letterarie. Il principale di questi romanzi è La marcia di Radetzky di Joseph Roth, l'ebreo della Galizia Orientale (oggi in Ucraina), apolide e allo stesso tempo legittimista asburgico, che nel 1932 pubblica il suo capolavoro, seguito nel 1938 dal più sfocato, ancorché struggente romanzo La cripta dei Cappuccini, il cui protagonista, non a caso, si chiama Franz Ferdinand. Mentre la letteratura mitteleuropea contribuisce con tali opere a creare il mito asburgico, radicalmente diversi sono i romanzi di guerra tedeschi degli anni Venti. Siamo confrontati con esperimenti letterari di una scrittura nuova, audace, intrigante, pervasa di suggestioni espressionistiche e insieme di tentativi innovativi mutuati dal neorealismo della Nuova Oggettività. E' con questi testi che la guerra lacera definitivamente il canone letterario ancora ottocentesco, immettendo tensioni narrative originali, che cercano di rendere conto delle atmosfere di terrore, di distruzione e della nascita di una nuova sensibilità, sostanzialmente lontana da quella decadentistica e tardo-romantica, mentre risultava ormai improponibile il mito ottocentesco e positivista del progresso.Lontano dal fronte, ma non dai mostri generati dalla brutale violenza dell'epoca, di un'epoca che è ancora la nostra, uno scrittore alquanto solitario scrive il più inquietante e coinvolgente testo del tempo: Franz Kafka inizia nell'agosto del 1914 a scrivere il Processo, mentre La metamorfosi viene pubblicata nel 1915. Le conseguenze di Sarajevo sono politicamente, socialmente, culturalmente incalcolabili e nessuno le aveva previste in tutta la loro estensione. O forse uno scrittore ci fu e fu Karl Kraus con il suo dramma monstre: Gli ultimi giorni dell'umanità, che tenta di raffigurare l'inenarrabile sciagura, che la guerra rappresentò per il mondo, una sciagura provocata dalle classi dirigenti, incapaci di amministrare la pace e impotenti a fronteggiare un conflitto mondiale, che avevano avventatamente scatenato. E' impressionante ricordare che l'organizzazione dei pacifisti – quella fondata da Bertha Suttner – aveva convocato per la fine di giugno 1914 la XXI Conferenza per la Pace proprio a Vienna sotto la presidenza della stessa Suttner, che però morì il 21 giugno a Vienna, giusto una settimana prima dell'attentato di Sarajevo. Quella conferenza, che avrebbe dovuto proclamare l'inizio della grande pace europea, fu annullata, appena in tempo perché in Europa si dichiarasse la guerra. La Grande Guerra esplode nell'agosto del 1914. Così commentò il ministro degli esteri inglese Edward Grey: Si spengono le luci sull'Europa. Forse nella nostra vita non le vedremo riaccendersi più. Di quelle tenebre, di quell'oscurità narra questa nuova letteratura, pervasa da un senso di insicurezza, che d'allora ci accompagna e talvolta ci ammonisce.

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