Relazione di gennaio

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Carissimi soci e amici, concedetemi di iniziare dagli aspetti organizzativi che caratterizzano l’inizio di questo nuovo anno sociale (l’ultimo del secondo triennio della nostra gestione). Va detto allora che le tre novità – nuovo caffè, nuova pizzeria, nuova sede delle conversazioni – hanno dato esito positivo. Meno rumori, più qualità gastronomica e più spazio, soprattutto, per le nostre vicende logistiche, sono circostanze che lasciano ben sperare. Nondimeno, la scelta di abbinare il mondo della poesia alla tradizionale ricorrenza della memoria della Shoah, ha dato frutti inattesi: le poesie di Vivetta Valacca e di Dieter Schlesak hanno veramente scosso per la loro bellezza, armoniosità e per il loro contenuto universale. Del resto scrivere di amore in due lingue, come ha commentato un illustre critico a corredo della Luce dell’anima, il libro da noi presentato, ha fatto correre il rischio di un fallimento, non solo perché il tema appariva ormai spuntato, dopo millenni di versi e sospiri; ma anche perché Dieter Schlesak di ben altro genere di letteratura era stato un protagonista discusso e apprezzato negli anni a cavallo dei due secoli che abbiamo attraversato, Il farmacista di Auschwitz, Senza radici, Bandiere bucate, sono i tre titoli che lo hanno reso famoso per un coraggioso resoconto delle tragiche vicende legate sia al genocidio nazista, sia alla caduta del muro, nonchè alla fine del regime comunista rumeno. Come si poteva parlare di poesia dopo Auschwitz? Adorno, nei primi anni ’60, in occasione del processo Eichmann e del processo di Francoforte a Capesius, il predetto farmacista, aveva sconsolatamente negato tale via a tutti coloro che avevano visto, sia pure da testimoni, il tremendo evento. Eppure, Dieter e Vivetta hanno rinnovato le promesse di sempre. Le loro bellissime rime, lette anche in tedesco da una commossa Grazia Pulvirenti e introdotte da una ispirata e doverosa lettura di Corrado di Di Pietro, hanno emozionato il pubblico, a sua volta stimolato dalle poesie della Valacca, non solo stupenda traduttrice e a sua volta sentita poetessa, già matura filologa greca, per avere nelle sue ricerche ripreso e attualizzato le figure omeriche sul modello mitoesistenziale di Thomas Stearns Eliot. Nondimeno, il precedente caffè letterario, con la presenza di Antonio Pecoraro, responsabile del Comune di Würzburg, ha aperto con la Nostra Associazione un proficuo rapporto di collaborazione. Abbiamo qui riportato la vicenda di Dieter Schlesak sui binari della prosa più cruda: le vicende della sua gioventù in contatto con Capesius; le indagini sul ruolo di persecutore del popolo ebraico, fino alla sua ridicola condanna che lo vide quasi ritornare alla sua professione e morire nel suo letto ricco e anziano, quasi senza alcuna conseguenza; già ci introducono ad una tematica non facile. Se poi alle sue tragiche descrizioni Schlesak decise di inframmezzare note poetiche, questa fu una tecnica stilistica che non gli produsse certamente successo. Documentario? Fiction? Saggistica? Ai lettori l’ardua sentenza… Infine, il film di Lubitsch, To be or not to be, anno 1942, una delle rare volte in cui il cinema trattava con ironia la tragedia nazista. Ci aveva provato poco prima Chaplin col Grande dittatore, ci tenterà poi Mel Brooks e da ultimo il nostro Benigni con La vita è bella. Ma consentiteci di dire che Lubitsch, da tedesco immigrato in America fin dai tempi delle convulsioni sociali di Weimar, ha avuto una marcia in più. E’ magnifica soprattutto la sceneggiatura, tratta da una opera teatrale ungherese di Melchior Lengyel, altro esule in America, ancora oggi rappresentata. Le battute colpiscono amaramente lo spettatore, frastornato tra commedia all’americana e la dura realtà dell’occupazione della Polonia, per di più punteggiata dalle rime di Shakespeare sul sentimento ebraico. Forse la massima di Ennio Flaiano, la situazione è grave, ma non è seria, ci pare possa sintetizzare la scelta dei due esuli europei, al pari di Schlesak, cittadini del mondo. Essere o non essere – meglio di Vogliamo vivere, titolo appiccicato dalle case cinematografiche di doppiaggio italiane – è molto più appropriato. Anzi le dinamiche dell’Essere e del suo divenire qui sembrano affiorare proprio nell’arte della commedia, dando corda alle tesi di Nietzsche sul ruolo positivo dell’arte nel processo di liberazione dell’uomo dalle morali filistee che lo hanno sempre schiavizzato. Ma di ciò torneremo in modo più ampio nel prossimo mese.

IL PRESIDENTE
Avv. Giuseppe Moscatt

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