Carissimi amici,dopo lo stimolante studio su Anders e sui suoi amici e nemici – Hanna Arendt e Martin Heidegger – non si poteva non tuffarsi nel parallelo universo viennese, prima nel decennio antecedente la Grande Guerra; poi negli anni dell’Austria di Dolfuss fino al tragico Anschluss con la Germania di Hitler. Abbiamo allora prescelto due fra i vari campioni di quella singolare quanto irripetibile disfida culturale, Karl Kraus e Arnold Schönberg ma non possiamo non citare personaggi di altrettanta valenza universale, quali Adolf Loos, genio dell’architettura, oppure Sigmund Freud, padre della psicanalisi, senza contare, Joseph Schumpeter, sociologo dell’economia del circolo di Vienna che osò proporre una peculiare mediazione fra socialismo e democrazia liberale. E tutti contemporaneamente operativi in quell’Austria-Ungheria crogiolo di razze e culture, fondata su un sistema burocratico efficientissimo, di cui oggi si ha profonda invidia, specialmente da parte di noi europei. Eppure vi fu un fustigatore di costumi eccezionali, Karl Kraus appunto, che ne mise a nudo le profonde contraddizioni in nome di una morale rigidamente ancorata all’etica kantiana. Sulle colonne del suo giornale satirico die Fackel, la fiaccola – Kraus dettò una miriade di aforismi al fulmicotone, criticando tutto e tutti: il vivere sociale e la morale comune accomodante; la posizione della donna; la stampa; il suo ruolo di scrittore satirico, paragonandosi al più grande polemista dell’età moderna, Jonathan Swift. Qualche aforismo ci permette allora di inquadrarlo: sul rapporto uomo/donna, e così lui la costrinse a fare quello che voleva lei. Sulla stampa i giornali hanno con la vita all’incirca lo stesso rapporto che le cartomanti hanno con le metafisica. La massima sulla figura dell’artista ci pare poi assoluta: Artista è colui che sa fare della soluzione un enigma. Infine, il politico: il segreto del politico è di passare per stupido come lo è spesso il suo pubblico, allo scopo che questo si illuda di essere intelligente quanto lo è lui, soprattutto quando gli propone le sue soluzioni. Ma un suo pensiero ci permette di legarlo ad un grande suo contemporaneo, Arnold Schönberg. Disse infatti Krauss: ben venga il caos, perché l’ordine non ha più funzionato. Aforisma che rivela quell’ansia di mutamento apocalittico che affliggeva la cultura dell’epoca, non solo mitteleuropea, dove la musica classica era ad un bivio: continuare stancamente nell’ordine melodico e cromatico del bel mondo del valzer, che si ripercuoteva negli stili consueti dei Richard Strauss e Bruckner; oppure aderire ai nuovi cromatismi di Brahms e Mahler, già consapevoli che la loro ordinaria proposta musicale non riusciva ad esprimere le inquietudini dell’io e la relativa domanda di innovazione che già la Francia di Debussy tentava di fronteggiare. A questo senso di insofferenza all’ordine naturale, a quel Danubio blu, che copriva la melma dello spirito umano sempre più ribollente sotto quelle acque non più tranquille, fu data risposta dal giovane Schönberg, che la espose nell’opera di transizione più importante dell’epoca, scelta analoga al passaggio parallelo della Madama Butterfly di Puccini rispetto ai tradizionali Pagliacci di Leoncavallo, tanto per ricordare quello che avveniva nel mondo dell’opera in Italia. Verklärte Nacht di Schönberg ebbe in Austria lo stesso effetto. I toni formali, le cromature e i suoni armoniosi rimanevano forzatamente ancora tonali, ma già il programma sotteso che si richiamava ad una poesia di Richard Dehmel, uno scrittore dell’epoca pari al nostro D’Annunzio, preannunziava una variante indigeribile al pubblico conservatore di Vienna che mal sopportava di vedere a fondamento di un brano di musica da camere una tematica alquanto scabrosa. Piuttosto era un sestetto d’archi che si richiamava a Wagner e al suo Tristan, che suscitò un diffuso malcontento nell’ambito conservatore di Vienna e che portò alla depressione il giovane Schönberg. Tale era però la fede rivoluzionaria che lo invadeva, da prendere proprio a modello Kraus, in quel 1902 quando fu eseguito nella sala più conformista, in una realtà culturale tanto critica, per le Avanguardie, quanto più queste crescevano. E lo stesso avveniva per la pittura a Parigi: qui, Modigliani, Picasso, Utrillo, De Rivera, portarono scompiglio con le loro opere espressioniste nel quieto vivere impressionista degli epigoni di Renoir. Ecco perché abbiamo scelto come film del mese, I colori dell’anima, opera biografica del grande pittore livornese. Dunque, ecco il filo di Arianna, del nostro cammino. E a dircelo, è stato magnificamente l’autore di un libro che abbiamo all’uopo presentato, Alessandro Maria Carnelli, giovane direttore d’orchestra lombardo -piemontese, non a caso della stessa vecchia nazione imperiale regia asburgica (il libro è stato stampato nel 2013 dall’editore XY.IT). Presentato da Mariagrazia Seminara, nostra collaudata mentore delle selve della musica classica contemporanea, il maestro Carnelli ha esordito proprio dal titolo che è già un programma: Il labirinto e l’intrigo e i viottoli, Verklärte Nacht fra Arnold Schönberg e Richard Dehmel. Infatti proprio sul menzionato Die Fackel di Kraus così Schönberg osservava: l’opera d’arte è un labirinto. Come uscirne senza problemi? E se non ci fosse un filo d’Arianna? Il genio sa come uscire seguendo l’intrigo dei viottoli. E seppure sbagliasse i percorsi, riuscirà lo stesso a raggiungere la meta, perché è tale del Genio. Ma esistono vie errate in un opera d’arte? E’ vero. Ma chi è il genio? Lo scopriremo fra poco, quando esamineremo uno dei Padri di quella definizione che incarnò lo spirito del Romanticismo e non solo: Friedrich Schiller. Arrivederci.
Avv. Giuseppe Moscatt
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