Prof. Amato: Tacito e i Germani

Carissimi soci e amici, riprendono a febbraio le conversazioni di cultura italo/tedesca. Purtroppo, abbiamo dovuto rinviare a data da destinarsi l'intervento dell'avv. Atanasio per il mese di gennaio – Napoleone incontra Goethe – per impegni professionali del relatore, ma speriamo di recuperarLo entro l'anno. Intanto, il prof. Nello Amato, Presidente della Società Siracusana di Storia Patria, da esperto latinista, ci dedica una serata su Tacito e i Germani, conversazione che segue l'ottima relazione dello scorso anno su Cesare e i Germani. E' noto il mito dell'autoctomia e della premessa razionala dei Germani che venne rilevato nel testo arcinoto di Tacito, La Germania. Nell'operetta di 46 capitoli, composta nel 98 d. C., di carattere prettamemente geografico ed etnografico, Tacito descriveva la massa delle popolazioni – o meglio delle Tribù- stanziate nel quadrilatero fra il Reno, il Danubio,il Mar del Nord e il Baltico. Fondando le sue osservazioni sulle fonti di Plinio il Vecchio e di Cesare, Tacito voleva analizzare indirettamente la decadenza dei costumi romani prendendo come esempio proprio i Germani, un popolo assai diverso, culturalmente vergine, incontaminato dalla “civiltà”, divenuta Roma sinonimo di corruzione e di fiacchezza d'animo. Volle, invero, Tacito, invitare i Romani a tornare alle origini, di riprendere i costumi antichi e di ritornare alla sanità dei mores dei Padri Fondatori. Nulla di più di un ritorno allo statuto di una rinascita della Costituzionem, come direbbero i costituzionalisti di oggi e i monarchici del dopoguerra. Molto diversamente da quello che la retorica guglielmina e poi nazionalsocialista ampliò, sulla base di un forviante pensiero razzista che scorreva carsicamente nella storia tedesca, da Lutero a Hegel, da Wagner a Nietzsche, fino a Rosenberg e Hitler. Tacito, in realtà, aveva soltanto messo a confronto i Romani dell'età di Domiziano e i Barbari, i quali erano più pericolosi dei Persiani proprio per la libertà che li governava: ma non era anarchia, mollezza e corruzione, quanto vita semplice e genuina, soprattutto operosità produttiva, senza rendite di posizione proprio perché non fondato sula schiavitù, ma sul lavoro libero fra eguali. In attesa di sentire il giudizio di Amato, una considerazione: abbandonando definitivamente la lettura razziale e ormai biologicamente inconsistente – visto che proprio nazioni multirazziali da sempre hanno dimostrato uno sviluppo civile non indifferente nella storia del mondo (e in Europa, l'esempio della Svizzera continua a dominare); dobbiamo ancora pensare che l'età del capitalismo finanziario corrisponda alla decadenza di Roma? Dobbiamo veramente concludere che la Germania attuale rappresenti nel panorama economico mondiale, quell'esempio di società mercantile virtuosa, ordinata e produttiva, quel capitalismo sociale che perfino Marx e Engels ammiravano quando ne descrissero i meccanismi di formazione e di crescita?

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